Quando inizi a fare speleologia, la Grotta Luigi Donini è uno di quei “miti” di cui non puoi fare a meno di sentir parlare e da cui rimani per forza affascinato.
Sembra quasi essere uno di quei riti di iniziazione per il quale, ogni volta che ascolti un nuovo racconto, provi al tempo stesso un misto di invidia, quasi esclusione (per non esserci mai stato), voglia folle di buttartici dentro, e (perché no) un po’ di paura rispetto ad una grotta diversa da tutte le altre ed (onestamente) impossibile da descrivere in modo esaustivo ed obiettivo.
Ci ha provato addirittura una pandemia a tenerci lontani ancora per un anno, ma alla fine riusciamo a partire.
Arriviamo a Sedda Ar Baccas ed inizia la vestizione: la caratteristica della Donini è di avere al suo interno una serie di laghi intervallati da alcune calate in corda. Perciò è necessaria una buona muta per evitare il freddo.
Così dicono gli esperti…
In realtà la prima sensazione è l’esatto opposto: dopo un breve avvicinamento sotto il sole cocente di una calda domenica di giugno, l’ingresso prevede un piccolo tratto “asciutto” che con la muta sembra durare una vita.
L’arrivo alla prima pozza è allora accolto con enorme sollievo: ci facciamo il bagno in pochi centrimetri d’acqua pur di raffreddare i bollenti spiriti.
Ma è solo l’inizio…
Poco dopo, una calata in corda ci lancia in acqua: da qui inizia il parco giochi. Si nuota (per lunghi tratti) fra alte pareti solcate dal fiume stesso: ci si sente un po’ come se fossimo noi stessi a scavare dentro la montagna, aprendo con la nostra luce frontale una fessura nella montagna… una sensazione più forte di quando si attraversano rami fossili. Si alternano altri salti in corda, toboga, brevi camminate sul greto asciutto del fiume ma soprattutto ancora tanta tanta acqua.
Per quanto affascinante sia una grotta, il momento spesso più emozionante è l’uscita. Intravedere la luce del sole e sentire sulla pelle l’aria calda dell’esterno regala al tempo stesso sollievo per la fine della fatica e soddisfazione per aver raggiunto il traguardo. Un po’ come quando si intravedono le macchine alla fine di un trekking…
In questo caso la “luce” non rappresenta la fine della fatica, ma il tuffo al cuore è stupefacente.
Stiamo ancora nuotando dentro al fiume: dopo 3/4 ore di progressione un po’ di fatica inizia a sentirsi, ed anche la temperatura corporea inizia a scendere. Quando, all’improvviso, il tunnel roccioso davanti a noi si apre in una spaccatura longitudinale da cui filtra una luce quasi innaturalmente calda, in mezzo allo spettacolo freddo di roccia e acqua che ci ha accompagnato fino ad allora.
È una composizione quasi irreale, di quelle che vedi nei film e nei documentari ma dentro cui sembra quasi strano essere immersi.
La spaccatura si apre su una parete di roccia che conduce alla vallata sottostante (la Codula Orbisi). Il toponimo di questa cascata è quantomai suggestivo: siamo arrivati a Su Cunne e S’Ebba, una calata verticale di circa 50 metri, all’aperto, da affrontare con la tecnica della corda doppia.
Quando ti affacci all’attacco della discesa, lo spettacolo emoziona: dopo tanto buio, la vallata sottostante sembra immensa, la luce penetrante, ed i 50 metri sotto di noi impattano e divertono allo stesso tempo.
È un tuffo nel verde della vallata. Una volta scesi, lo spettacolo dal basso dei compagni ancora in discesa rende ancora più l’idea, rispetto a quanto si riesca a percepire dall’alto.
È il momento di toglierci la muta, vestire abiti più comodi ed affrontare il rientro al punto di partenza (non prima di aver messo qualcosa nello stomaco per recuperare un po’ di energie).
Le fatiche non sono terminate: infatti, dobbiamo affrontare una serie di piccole arrampicate sulla parete della Codula. Ed una volta giunti in quota, con alle spalle il panorama mozzafiato della Gola di Gorroppu, 40’ minuti circa di trekking ci riportano alle macchine. La fatica della giornata inizia a farsi sentire sulle gambe, ma viene abbondantemente soverchiata dalla soddisfazione dell’intera giornata.
La Donini è fatta: un parco giochi, letteralmente, dove in poche ore servono tecniche speleologiche e torrentistiche, in cui si nuota e ci si cala in corda doppia, ed infine si arrampica e si cammina in un breve trekking immersi in uno dei paesaggi più spettacolari della Sardegna.
Cosa possiamo chiedere di più? Beh, forse solo “quando la rifacciamo?”…
(Fotografie di Olivia Campanelli, Simone Carta e Gianni Corona)