“Quando sai stare quindici ore in grotta, hai già una vaga idea della speleologia. Verso le ventidue la conosci da vicino. Tutto quanto va oltre le ventiquattro non lo dimentichi mai più.” (Andrea Gobetti, L’ombra del tempo)
Monte Longos è stata a lungo chiamata Suspiria e una ragione c’è. Non ti accoglie, ti devi guadagnare la sua fiducia, altrimenti ti sputa via come un intruso indesiderato. E se insisti ti fa desiderare di uscirne fuori prima possibile. Il colore scuro delle pareti, gli spazi stretti, la progressione faticosa, stretti passaggi in corda, meandri, risalite, discenderie cosparse di latte di monte che danno forme contorte al vuoto nella roccia. É il prezzo che devi pagare alla dolomia, prima che i grandi spazi nel ventre calcareo della montagna ti diano la ricompensa per gli sforzi fatti.
Anche evitando il fatidico meandro degli stivali, il lungo giro per il by-pass, con lo zaino da campo in spalla, consuma le energie di giovani e diversamente giovani che, come dei malefici mistrilli, vagano per i sentieri delle vie Nere. Il mistrillo è un essere mitologico apparso solo ad alcuni audaci speleo che, per rendergli omaggio, gli hanno dedicato un ramo della grotta. Non è stato più visto da allora e si sospetta che rimanga nascosto in anfratti remoti per apparire agli esploratori del buio in dormiveglia con le fattezze di una bambina misteriosa. Alcuni di noi ne sentivano la presenza inquietante nel buio liquido del campo.
Finalmente liberi dal peso delle sacche possiamo addentrarci nel ramo dei francesi e, come d’incanto, entriamo in un altro mondo. Un ambiente fatato ci accoglie, distese di sabbia, fiumi con acque cristalline, rocce dalle forme variegate, enormi gallerie tondeggianti, vaschette candide di calcite. Monte Longos ci ha consentito di attraversarla e ci apre il passaggio verso Su Palu. Siamo eccitati al pensiero di risalire, fino al fatidico sifone, il fiume che Patrick Penez ha percorso oltre 40 anni prima. Cerchiamo la strada, sbagliamo, torniamo indietro e ci arrampichiamo fino a trovare la via. Ora la grotta ci accoglie e ci accompagna, sentiamo che ormai ci consentirà di arrivare nel luogo magico che stiamo cercando. L’immensa volta di Goloritzé superspazio si abbassa su banchi di sabbia attraversati dall’acqua. Non c’è più lo spazio per proseguire se non attraverso il sifone da cui provengono le sagole lasciate dagli speleosub.
Ci guardiamo sorridenti, emozionati, siamo in grotta da oltre ventiquattro ore e siamo certi di poter fissare nella memoria, per gli anni futuri, questo momento magico.
Gianni D., Antonio, Tore, Cinzia, Fabrizio, Giorgia, Olivia, Simone, Gianni C.